I FIGLI MENO CONOSCIUTI DI SIENA

Da Provenzano Salvani a Bettino Ricasoli fino a Gianna Nannini Siena ha dato i natali a migliaia di personaggi ascesi alla notorietà per i più svariati motivi. Vi sono tanti altri personaggi meno conosciuti, o per lo meno conosciuti solo da alcuni, a cui Mamma Siena ha dato i natali e che hanno lasciato dei segni particolari, più o meno importanti e significativi, nella storia.
Noi vi proponiamo la lettura di alcune sintetiche schede di una piccola parte di questi personaggi che impropriamente possiamo definire minori. Abbiamo estratto queste sintetiche note da una pubblicazione realizzata da Ubaldo Cagliaritano "Mamma Siena" stampata dall' Arteditoriale Periccioli di C. Bruni per conto dello Studio Editoriale "Fonte Gaia" Siena 1976.
(Le immagini allegate sono realizzate da SF da sommarie indicazioni)




SIMONE FORESTANI DI DINO

A proposito di Simone Forestani (o Florestani) medico e poeta nato pare nel 1360 l'identità di quest'uomo è stata spesso confusa con quella di Simone di Dino o Serdino. L'anno 1360 per diversi autori non srebbe l'anno di nascita ma addirittura quello della sua morte. Il De Angelis si occupa di questo personaggio ed afferma che la produzione poetica del padre venne confusa con quella del figlio come le relative date; addirittura nella sua famiglia pare fossero esistiti ben tre Simone creduti tutti autori di opere ed operette letterarie. Evidentemente deve essersi trattato di una unica persona di un solo Simone, cioè il nostro Simone Forestani o Serdini detto il "Saviozzo", appellativo da mettere in relazione alla notoria saggezza e dottrina che distinse questo personaggio.
Simone fu un grande Canzoniere; egli si ispirò all'amore, ma lo interessarono anche religione e politica: in amore fu leggero, il suo stile fu giudicato all'epoca imitativo, sciatto ed astruso. Il Canzoniere di cui Simone fu autore risulta essere fra i più completi di quelli a noi rimasti della sua epoca.
Simone trascorse un periodo della sua vita alla corte dei conti Guidi in Casentino e successivamente dei Malatesta Signori di Rimini.
Simone si sarebbe tolta la vita a causa di un amore infelice, non corrisposto. Il fatto sarebbe accaduto durante il periodo in cui egli era prigioniero nel castello di Tartaglia di Toscanella tra il 1419 ed il 1420.
Prima di decidersi a compiere l'insano gesto Simone volle comporre un "canto" pieno di epiteti e di maledizioni che così cominciava: "Le infastidite labbra in cui già posi...".


VAGNOLI VIRGINIA DI PIETRO


Virginia Vagnoli nacque a Siena (più esattamente a Pienza) sembra nell'anno 1540 ed incantò il mondo per la sua musica e per la sua bellezza. Virginia fu educata dal padre Pietro al canto ed al suono del liuto e della cetra dai quali sin da giovanissima trasse immediati consensi ed apprezzamenti. Lasciò Siena ed andò alla corte di Ugobaldo Della Rovere dove conobbe il giovane collega e poeta Ludovico Agostini , col quale durante gli anni della sua permanenza tra Urbino e Pesaro strinse vincoli amorosi. Corteggiata, ammirata, festeggiata da tutti Virginia, sentendosi sacrificata in provincia, accarezzò il proposito di trasferirsi alla grande corte di Vienna. Lasciò tutti, compreso il fidanzato, lasciandolo nella disperazione e poi follia. Godendo della stima di Massimiliano II , bramoso di averla alla sua corte, la bella Virginia si recò a Vienna dove fece innamorare pazzamente il musico di corte Luigi di Zanobi che arrivò persino ai preparativi del matrimonio; i secondi preparativi per la bella Virginia dopo quelli di Ludovico Agostini. Ma poco dopo il 1570 Virginia e suo padre si allontanarono da Vienna per giungere a Firenze accolti alla corte dei Medici. E fu qui che la celebre soprano senese andò in sposa al famoso compositore e liutista Alessandro Striggio; dal loro matrimonio nacquero diversi figli tra i quali il noto Alessandro (junior) autore del libretto dell'"Orfeo" musicato da Claudio Monteverdi. La Vagnoli rimase vedova e sola nel 1587; a sua sola consolazione le rimanevano gli adorati figli ed i tanti ricordi dei suoi amori.


MARSILI MARGHERITA

Margherita Marsili, gentildonna senese, nata forse nella Maremma senese nel 1518 circa, vissuta sec. XVI Figura potentemente suggestiva, a metà fra storia e leggenda. Appartenente alla nobile famiglia senese dei Marsili, Margherita viveva nel castello di Collecchio, sulla costa della Maremma, nella zona dei Monti dell'Uccellina. In giovanissima età, nel 1534, fu rapita, insieme a due fratelli minori, da una numerosa banda di pirati ottomani capeggiati dal famoso Khar-ed-Din detto «Barbarossa», che erano sbarcati nei pressi di Cala di Forno. Condotta in oriente, fu destinata all'harem dell'Imperatore turco Solimano il Magnifico. Bellissima, Margherita divenne presto la favorita dell'Imperatore, dal quale ebbe 5 figli. La leggenda narra che ella, propostasi di far salire al Trono Imperiale il proprio figlio primogenito Maometto, cercò di inimicare Solimano col di lui figlio preferito Mustafà; dopo essere riuscita a svincolarsi dalla posizione di schiava e a divenire sposa legittima del suo Signore, colmata da grandi privilegi, Margherita riuscì, con una serie di raggiri, a far incolpare Mustafà di tradimento e a farlo condannare a morte. I suoi figli ebbero quindi via libera per la successione al Trono. Sembra che anche in seguito ella sia riuscita ad influenzare notevolmente l'attività politica di Solimano.



LORENZO FABBRI (PAPPIO)

Vi sono uomini che sono entrati a far parte della storia e della leggenda senese e contradaiola con la solo forza della loro personalità: Pappìo è uno di questi. Pappìo, al secolo Lorenzo Fabbri, dal Drago, vive la prima metà del '900, è un uomo povero, di quel tempo in cui la ricchezza della maggior parte dei senesi era fatta di tanta fame, di miseria, di arguzie di spirito e di battute pronte ad esorcizzare tutti i mali insieme anche a qualche bicchiere di vino di basso costo ma di genuina qualità ed a qualche cantata, o "becerata", fra contradaioli. Pappìo amava profondamente i cavalli ed è noto il suo attaccamento al grandissino Folco, protagonista insieme a Ruello di carriere esaltanti. Folco lo seguiva come un cagnolino e lo aspettava tranquillo quando Pappìo si fermava dal vinaio. Quando Pappìo si recava a Fornacelle, a casa del Pepi, agli amici che gli chiedevano il perchè, rispondeva: "Mangio, bevo e... vedo Folco". Di frasi celebri e storielle più o meno vere è pieno il patrimonio aneddotico popolare senese; esempio contrabbandare tra "le spese della stalla" le bevute ed i sigari per il cavallo. Una storiella fra le tante ?! Quella del "gobbo". Correva per il Leocorno un fantino, Michele Rossi, che aveva una cifosi dorsale. Pappìo quando lo vide per la prima volta nell' Entrone lo salutò chiamandolo "gobbo"; quello si risentì dicendoli che il suo nome era Michele. Pappìo si scusò promettendoli che non sarebbe più acceduto un fatto del genere. La mattina dopo, sempre nell' Entrone, Pappìo lo rivede e lo saluta: "Buongiorno Michele". Quello gli rispose: "Buongiorno..". E Pappìo: "Ha' visto, 'un te l'ho detto gobbo".


MOCENNI QUIRINA

Quirina Mocenni nacque da Ansano Mocenni e da Teresa Regoli il 24 giugno 1781 in una casa in fondo all'attuale via dei Rossi, davanti ai cosiddetti "Ferri di San Francesco". Questa donna era conosciuta nel mondo dei salotti letterari del primo '800 con l'appellativo di Damma o Donna Gentile come Ugo Foscolo soleva affettuosamente appellarla. Di questo poeta la Dama Gentile fu l'amante più amata e, nel medesimo tempo, la meno rispettata. Quirina era grande amica della Contessa d'Albany, a sua volta amica intima di Vittorio Alfieri; i due la convinsero a sposare, nel 1802, Ferdinando Maggiotto da Montevarchi definito " un povero infelice, stupido sin dalla nascita". Il suo salotto era frequentato abitualmente da illustri personalità della Letteratura, delle Arti e delle Scienze quali Gino Capponi, Giambattista Niccolini, il Benvenuti, Leonardo Cicognara, Ugo Foscolo, Vittorio Alfiero ecc. Fu proprio in questo salotto che il Foscolo conobbe Quirina. Il poeta, per verità di cronaca, si stancò di questa relazione ma non volle mai creare dispiacere alla Dama Gentile. Tuttavia anche l'amore di lei andò lentamente trasformandosi in sentimento d'amicizia come risulta dalla copiosa corrispondenza. Il Foscolo inviò alla madre Teresa una proposta di matrimonio ma rimase, per complesse ragioni, senza esito mentre esito ebbero le sue ripetute richieste di denaro delle quali si fece intermediario Silvio Pellico. Questi a sua volta tenne corrispondenza anche con Quirina, dal 1816 al 1846, e da questa deduciamo che ad un certo punto anche il celebre autore de "Le mie prigioni" si sarebbe innamorato della donna senese.




CAMPANI NICCOLO' (LO STRASCINO)

Il senese Niccolò Campani, figlio di fonditore di campane, autodidatta, autore di brevi commediole e farse, che spesso interpretava personalmente (vestito da contadino) per allietare le brigate di Corte. Il Campani venne accolto dai Gonzaga di Mantova e da altri Principi, ma fu soprattutto alla corte del pontefice Leone X dove riscosse i maggiori e più duraturi successi che gli permisero di raggranellare una piccola fortuna con la quale si comprò il titolo di Scudifero Apostolico. Il nome di Strascino gli deriva da una sua commedia che così appunto s'intitolava. Il Campani stava per salire ai piu alti livelli artistici e letterari quando una terribile malattia lo condusse alla tomba all'età di 45 anni. Lo Strascino lasciò diverse opere letterarie, farse e commedie scritte in un colorito linguaggio senese; fra queste composizioni non mancano accenni alla maledetta sifilide della quale nel 1511 fu colpito. Il Campani fu poeta giocoso, autore ed attore, un giullare di corte ma i critici lo considerarono uno dei poeti più importanti, se non il più importante, del primo '500. Grazie alla sua opera ed al suo spirito che dopo il 1531 gli intellettuali senesi dell'epoca si riunirono in Congrega che assunse poi il none dei Rozzi.

MACONI ERCOLANO (LANO)

Alto ed aitante, Lano od Ercolano Maconi nel 1281, entrato nella maggiore età, cessò di dipendere da Scanna, la severa madre, ed alla soglia dei vent'anni, dimenticando l'educazione ricevuta ed ogno insegnamento morale e religioso, fattosi compagno di balordi di Cecco Angiolieri, si dette a vita scapigliata. Però tra un bagordo e l'altro Lano, vuoi per la sua cultura e per la sua non comune intelligenza, vuoi per la sua elevata estrazione sociale cui la sua casata apparteneva fu più volte ammesso a partecipare al Supremo Maestrato della Patria (sempre quando vi erano problematiche difficili); nel 1283 fu membro del Consiglio Generale per il Terzo di San Martino e dal 1285 al 1287 prestò la sua attività nel campo prettamente militare. Dante, che probabilmente conobbe il Maconi, lo colloca nel secondo girone dell'Inferno, tra colore che in vita usarono violenza contro la propria persona e nel cerchio degli scialacquatori. Infatti Lano, nel 1288 a Pieve al Toppo, preferì darsi la morte pur di non cadere vivo nelle mani del nemico ma anche per evitare la miseria più nera.



DON GASPARO URBANI

Il grande orologio che già prima del 1360 faceva (e fa) bella mostra di se nella Torre del Mangia, nel tempo è stato oggetto di particolari cure, controlli e cambiamenti, anche fondamentali operati da parte di un corpo di "maestri" specializzati, allora conosciuti col nome di "temperatori". Per rispetto della cronaca è giusto evidenziare che l' orologio di Piazza del Campo ha sempre procurato un sacco di noie e la sua manutenzione non è mai stata "un boccon da ghiotti", per dirla in modo tradizionale. Il primo maestro fu Perino; a lui seguirono Bartolomeo Guidi, fra Luca dello Spedale, Michele di Memmo poi Bertino di Rouen ed altri ma le noie ed i guasti non cessarono. L'orologio nell'ambito dei "temperatori" si era procurata la non nobile fama di "orologio rompi-palle". Infine, nella primavera dell'anno 1400, fece la sua comparsa in Siena don Gasparo Urbani, sembra di origini e provenienza umbre. Don Gasparo aveva scritto una lettera al Governo della città per offrire i suoi disinteressati servigi per cimentarsi nell'impresa di far ben funzionare l'orologio di Piazza: " ...e no voglio guadagnare con voi altro che l'onore e la fama..." Fama ed onore che, del resto, Gaspero godeva già per essere stato l'autore di monumentali orologi, dal Rialto di Venezia al municipio di Orvieto. Questo "temperatore" giunto a Siena fece appena in tempo a rimettere in sesto l'orologio, perchè la morte lo colse nell'agosto dello stesso anno in cui era arrivato. Si profetizò a seguito da tale evento "che il tempo dovesse eternamente fermarsi nella città magica di Siena".




BRIGANTE MAGRINI

E' noto che nel secolo scorso, dopo l'unificazione d'Italia, vari territori della neonata nazione, conobbero il flagello del banditismo. E' così che il ricordo di personaggi come Tiburzi, Gnicche, l'Orcino, Baicche e tanti altri, contribuì a riempire le veglie dei nostri nonni nelle lunghe sere d'inverno. Anche la Montagnola, per la natura selvaggia e solitaria del suo territorio, conobbe le gesta di un brigante, il cui ricordo anche se un po' sbiadito dal tempo, rimane ancor oggi vivo nei racconti degli anziani.
Stiamo parlando di Antonio Magrini detto "Basilocco". Nato a Monticiano il 13 Marzo 1876 da Ulderigo e da Annunziata Zani, poco più che decenne venne mandato a fare il pastore presso alcuni contadini. Attraverso questo mestiere, che richiedeva un continuo girovagare alla ricerca di nuovi pascoli, acquisì una conoscenza minuziosa sia del territorio grossetano che di quello senese. Finito che ebbe di fare il pastore si guadagnò per qualche anno la vita lavorando onestamente nelle miniere di Campiglia, fino al giorno che, insieme ad altri operai, venne licenziato. La perdita del posto di lavoro, fu attribuita, non sappiamo se con ragione o meno, alla volontà di un sorvegliante. Quindi, deciso a vendicare lo sgarbo, il Magrini si appostò lungo una strada, e quando quest'uomo passò a cavallo, gli tirò una fucilata che lo uccise; per sfuggire alla legge ebbe così inizio la sua vita da brigante.
La cronaca ci fornisce dettagliatamente la sua cattura e morte.
La sera del 15 febbraio 1904, stranamente non si recò "alla consueta grotta dove il suo confidente gli lasciava la bolgetta con dei viveri e cognac", ma si presentò invece a casa del colono Gildo Pecorini, abitante al podere Ferratina nei pressi di Roccatederighi, chiedendo di mangiare. Non essendoci nulla, il Magrini incaricò il contadino di andare ad acquistargli un pollo. Poichè sul bandito pendeva una taglia di ben 5.000 lire (equivalenti ad oltre 15.000 euro attuali), "il Pecorini andò per il pollo, ma strada facendo trovò modo di avvertire anche i carabinieri". Quando i gendarmi giunsero sul luogo, il brigante stava in piedi in cucina in attesa che il pollo cuocesse. Il Magrini impugnò la rivoltella con grande prontezza d'animo ma i tre militi fecero fuoco contro il Magrini che fu ferito alla faccia con due colpi di rivoltella, pure alla faccia con un colpo di fucile caricato a pallini e al petto da un colpo di moschetto a mitraglia.
Non aveva ancora compiuto 28 anni!
Era ben vestito, armato di una pistola col cordone nero, di un pugnale nichelato con manico di corno, di un fucile a due canne, di 73 cartucce per rivoltella e 34 per fucile, di un canocchiale e di tre portafogli contenenti complessivamente 300 lire, riconosciuti di proprietà dei tre fattori recentemente depredati.
In varie parti del corpo si scorgevano segni di tatuaggio: due cuori trafitti da un pugnale e una figura di donna. Inoltre in un braccio era disegnata la figura di un bandito con la rivoltella in pugno, puntata verso le iniziali M.D.C.T., che volevano significare: "Morte al Dottor Callaini Tito", nemico giurato del Magrini.

SIMONE FORESTANI DI DINO

A proposito di Simone Forestani (o Florestani) medico e poeta nato pare nel 1360 l'identità di quest'uomo è stata spesso confusa con quella di Simone di Dino o Serdino. L'anno 1360 per diversi autori non srebbe l'anno di nascita ma addirittura quello della sua morte. Il De Angelis si occupa di questo personaggio ed afferma che la produzione poetica del padre venne confusa con quella del figlio come le relative date; addirittura nella sua famiglia pare fossero esistiti ben tre Simone creduti tutti autori di opere ed operette letterarie. Evidentemente deve essersi trattato di una unica persona di un solo Simone, cioè il nostro Simone Forestani o Serdini detto ol "Saviozzo", appellativo da mettere in relazione alla notoria saggezza e dottrina che distinse questo personaggio.
Simone fu un grande Canzoniere; egli si ispirò all'amore, ma lo interessarono anche religione e politica: in amore fu leggero, il suo stile fu giudicato all'epoca imitativo, sciatto ed astruso. Il Canzoniere di cui Simone fu autore risulta essere fra i più completi di quelli a noi rimasti della sua epoca.
Simone trascorse un periodo della sua vita alla corte dei conti Guidi in Casentino e successivamente dei Malatesta Signori di Rimini.
Simone si sarebbe tolta la vita a causa di un amore infelice, non corrisposto. Il fatto sarebbe accaduto durante il periodo in cui egli era prigioniero nel castello di Tartaglia di Tiscanella dra il 1419 ed il 1420.
Prima di decidersi a compiere l'insano gesto Simone volle comporre un "canto" pieni di epiteti e di maledizioni che così cominciava: "Le infastidite labbra in cui già posi...".




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