Tempi passati

IL TRENO A VAPORE ED I PANTALONI CORTI

Quando da Camollia ci trasferimmo di qualche centinaia di metri fuori porta, vicino a villa Isabella, in via Caduti Vicobello, per me ragazzotto cresciuto nelle pietre di città quel trasferimento ebbe il sapore dell'esilio. Lasciare il rione voleva dire perdere il cuore. Un dramma; ed eravamo a solo seicentotrenta passi, poi contati, di differenza.
Poi la luce e l'aria presero il sopravvento. Avere una cucina inondata di sole alla mattina mentre fai colazione è un bell'approccio alla giornata ed alla vita rispetto alla semi-oscurità della cucina di via Camollia dove la poca luce proveniva dalla finestra che si affacciava all'interno di un chiostro. Quella cucina era enorme come grande era la finestra, grande il focolare, grande l'acquaio, ma per capire che tempo facesse dovevamo affacciarci fuori dalla finestra e guardare in alto verso uno spicchio di cielo. Nella casa di via Caduti la luce la faceva da padrona, si appropriava di tutto, di ogni angolo, di ogni fessura.
Dopo "la lux" l'altra cosa che fece immediatamente breccia nella mia persona, in quella giovane età, fu il treno a vapore che vedevo passare nella vallata sottostante e che rappresentava per le donne di casa un orologio aggiunto nello svolgimento delle faccende domestiche data la puntualità dei suoi passaggi. Quella romantica locomotiva col pennacchio bianco mi affascinava bloccandomi ogni volta al suo passaggio. Mi affascinava quella forza meccanica incredibile, quel ferro ansimante, e poi carbone, fuoco e stantuffi. Mi affascinavano tanto quelle ruote che mangiavano il ferro quanto i suoi robusti guidatori sempre lucidi, quei fuochisti sudati e neri in volto. Mi affascinava e mi liberava dai cattivi pensieri e mi portava via con se oltre i conflitti dell'età. Imparai straordinariamente anche la poesia del Carducci "Davanti a San Giusto" tanto fui preso da quel treno ...' ansimando fuggia la vaporiera '

Ma, essendo nei primi anni '60, a spodestare gradatamente la nera macchina a vapore fu la Littorina, nome dato da Benito Mussolini quando, in visita a Latina, vi arrivò con questo mezzo ferroviario leggero, un' ALN (Automotrice Leggera a Nafta) poi chiamata Littorina da Littoria, nome che aveva Latina all'epoca.
Macchine a vapore, littorine sono poi scomparse come i viaggiatori di "terza classe". E' rimasta la prima, la seconda classe ma la terza è sparita anche se non è detto (dato i tempi), che torni anche la terza classe con i suoi viaggiatori non viaggianti ma fuggenti, quelli con le valige di cartone, con i tozzi di pane mangiati insieme al salame su sedili scomodi di legno, uno in faccia all'altro, con i fiaschi di vino attaccati al posto degli abiti come le flebo in una corsia d'ospedale. Ed oggi, come dice la canzone di Ivano Fossati "quando io la sera mi addormento e qualche volta sogno, perchè voglio sognare, e nel sogno stringo i pugni e tengo fermo il respiro e sto ad ascoltare ... come i treni a vapore di stazione in stazione e di porta in porta e di pioggia in pioggia e di dolore in dolore, come i treni a vapore, come i treni a vapore il dolore passerà". E quei treni a vapore di piccoli grandi dolori ne hanno portati dentro tanti, mentre fuori ne hanno portati via altrettanti di stazione in stazione.
Io, quando li vedevo passare ne vallone sotto casa, ci facevo salire le mie adolescenziali sofferenze per portarle via con lui in un paese che non conoscevo, migliore di quello nel quale stavo vivendo.

Ma quali erano le cose che mi rattristavano in quegli anni comunque meravigliosi ?
Quella che mi ritorna subito alla mente è la sofferenza legata ai pantaloncini corti.
Storia lunga da raccontare ma facile da capire. Essendo stato colpito in giovanissima età dalla poliomielite agli arti inferiori nella sua ultima invasione epidemica, nel 1953, ero costretto nel mio vivere quotidiano ad indossare i pantaloni lunghi. Le donne di casa, andando contro le usanze dell'epoca, scelsero infatti di coprire le protesi ortopediche alle gambe con dei bei lunghi pantaloni a tutta gamba.
Vi sembrerà strano ma il mio problema nei riguardi dei coetanei non fu la zoppia, l'invalidità agli arti, ma fu il pantalone, le braghe lunghe.
Si' ... perchè tutti i ragazzi a quell'epoca portavano i pantaloni corti; non arrivavano nemmeno al ginocchio, erano proprio corti, corti !! Per ristrettezze economiche di stoffa ne veniva usata poca e il pantalone finiva subito sotto l'inguine. Non avevano certo quella signorilità vittoriana come i pantaloni corti "modello inglese" che portavano i bimbi dei signori (arrivavano poco sopra o sotto, non ricordo bene, il ginocchio), ma erano estremamente comodi perchè quei pantaloncini corti rendevano più agili i movimenti.
Io invece avevo i pantaloni lunghi ed ero solo io ad averli, gli altri, tutti gli altri ragazzi li avevano cortissimi.
L'unica cosa che i miei pantaloni avevano in comune con quelli degli altri ragazzi era la famosa 'bottega', la fischiarola, e questo mi permetteva, per lo meno, di competere alla pari con gli altri nella spietata 'guerra dei bottoni'. E quando o per furia o per guerra rimanevi con i pantaloni aperti nel davanti immancabilmente ti sentivi subito dire: "C' hai la bottega aperta; chiudela! ti scappa il canarino !!" o cose simili.
Poi c'era il vantaggio pipì dei pantaloni corti che io ho sempre portato come scusante quando me li macchiavo con le gocce di urina o più' semplicemente di pipì. Preso dal gioco era una corsa con il tempo procedere a tutta l'operazione di sbottonamento della fischiarola che contava una quantità industriale di bottoni, cercarsi il lembo delle mutande per poi portare a termine l'operazione. I miei amici con i pantaloni corti, in qualunque luogo, anche per strada perchè la nostra vita la trascorrevamo per strada, provvedevano velocemente ai loro bisogni corporali alzando agilmente il lembo del pantaloncino corto, a destra o a sinistra a secondo della posizione giornaliera dell'amico 'pistola' e poi estrarlo per l'uso. Il vantaggio era anche un altro, quello dello sgocciolamento che non finiva nel pantalone, come accadeva a me, ma le gocce si localizzavano lungo la coscia nuda; vantaggio non da poco ! Ricordo che tutta questa operazione doveva avvenire in tempi da record perchè il gioco non poteva attendere e non aspettava noi.
Svantaggi o vantaggi (per esempio il freddo invernale) tutto sommato contavano poco. Sta di fatto che io ero diverso dagli altri a causa di quei pantaloni lunghi e non corti; io non potevo mettere in mostra le ginocchia ricolme di gloriose croste, segno di un vissuto che ti creava rispetto.
Superai il tutto quando il treno a vapore mi liberò dalle diversità portandomi nell' immaginario più avanti nel tempo. Mi fece vedere come i quindicenni la pensassero già in modo completamente diverso da me; loro già da un paio d'anni sognavano i pantaloni lunghi. Avete capito bene ! I pantaloni lunghi!! Questo perchè le regole dettate dalla tradizione e tramandate dai saggi, stabilivano che il percorso di crescita di un maschio veniva raffigurato anche dai pantaloni: i bambini dovevano avere i pantaloni corti, i tredicenni i pantaloni alla zuava e finalmente gli uomini , ripeto, gli uomini, i pantaloni lunghi. Ed io come li avevo ? Lunghi ! ... Ero già uomo !!


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